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LA PARROCCHIA DI SANTA AGNESE V.M.

La parrocchia di S. Agnese è stata voluta, alla periferia di Milano, dal cardinale Schuster, anche se per i primi 15 anni non è stata una parrocchia ma una delegazione arcivescovile. Ma andiamo con ordine.

Nel 1939 la parrocchia della zona, da secoli, era quella di via Aldini. Ma erano state appena costruite le case minime nelle vie Zoagli, Anderloni, Carbonia e Cittadini. In queste case si andava raccogliendo una varia umanità che padre Celso, il primo prete mandato per curare la vita spirituale della comunità, descriveva così: «Minime sono le case, costruite col minimo dispendio di mezzi, minime perché solo a tre piani, minime specialmente perché alloggiano i minimi dell’umanità. Sfrattati, ex-carcerati, famiglie irregolari, famiglie venute da ogni parte d’Italia, rimpatriati dal’estero, disoccupati, insolventi il canone d’affitto, indesiderabili […]. In mezzo a tanti ridottisi alla miseria per ozio o per vizio, c’è anche chi è stato un disgraziato per affari andati male, per infortuni o dispetti dovuti alla cattiveria altrui». Insomma, quelle persone di cui Gesù amava circondarsi (almeno secondo le dicerie dei benpensanti che con Gesù non volevano coinvolgersi troppo). La situazione ideale perché il vescovo di Milano, prima di pensare a istituire una vera e propria parrocchia, mandasse dei preti suoi delegati per cominciare a radunare una comunità cristiana.

La scelta cade sui Vicari Oblati di Cristo Re: dopo padre Celso sono padre Domenico Cattaneo e soprattutto padre Michele Raffo coloro che accompagneranno i primi decenni di vita della comunità di S. Agnese.

Dopo qualche mese in cui l’Eucaristia è celebrata nella palestra della scuola di via Cittadini, nel maggio 1940 è già pronta una chiesetta di mattoni all’incrocio tra le vie Anderloni e Carbonia.

Se si fa mente locale alle date si capisce che i primi anni sono segnati dai problemi della guerra: la scarsità di risorse, la paura dei bombardamenti, i rapporti con gli uomini che stanno al fronte …

Dal 1946 padre Michele, tornato dall’esperienza come cappellano militare, prende la responsabilità pastorale piena (aiutato negli anni da don Vittore Beretta e don Angelo Bosè). È l’epoca della ricostruzione, e l’epoca in cui la comunità assume la sua fisionomia.

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Alcuni passaggi da ricordare:

Le case minime si riempiono, scoppiano di gente. Padre Michele annota di «situazioni in cui 12 persone vivono in due stanze, 8 in una stanza sola, e di due nuclei famigliari diversi». Vengono occupate abusivamente le cantine. Sono anni in cui la comunità è fatta di poveri e cerca semplicemente di risolvere i problemi immediati dei poveri: operano tra le case minime diverse Conferenze di S. Vincenzo che distribuiscono pacchi alimentari; soprattutto padre Michele si spende totalmente per trovare un tetto più dignitoso di una cantina, un lavoro, il cibo, la scuola per i ragazzi … ancora oggi, dalla gente del quartiere che l’ha conosciuto, è ricordato soprattutto come esempio di abnegazione e disponibilità concreta verso tutti.

Vengono costruite le case di via Cogne. A questo punto è il caso di costituire una vera parrocchia: la popolazione continua ad aumentare, e soprattutto i cristiani di via Cogne, che non abitano case minime, si chiedono perché mai loro dovrebbero frequentare la parrocchia di via Aldini quando hanno una chiesa così vicina. Si avviano così le pratiche per costituire S. Agnese come parrocchia, quindi con un suo territorio (corrispondente più o meno a quello attuale) e una chiesa più grande per rispondere all’aumento della popolazione di riferimento.

Ma padre Michele ha un sogno: non limitarsi a costruire una chiesa, ma tutto un complesso parrocchiale che risponda all’esigenza dell’istruzione dei giovani: scuole professionali per i ragazzi e commerciali per le ragazze, che mettano a disposizione anche stanzette perché possano studiare con più tranquillità che nelle stanze e nelle cantine affollate delle case minime. Veramente nel sogno di padre Michele ci sono anche una palestra e campi sportivi, sale ricreative, e un villaggio per i fidanzati che facevano fatica a trovare casa e per questo rimandavano continuamente le nozze. Fatto sta che nel 1955, alla costituzione della nuova parrocchia, quello che c’è sono la chiesa e i due complessi scolastici denominati “Opera Pastor Angelicus”. La scuola maschile è affidata ai preti della parrocchia, quella femminile alle suore della famiglia delle Piccole Figlie del S. Cuore.

Sono gli anni d’oro, S. Agnese è un posto dove si ha il gusto di sperimentare vie nuove: la vita comune tra i preti (primo tentativo nella storia della diocesi di Milano), il non richiedere le tariffe per i servizi religiosi, un altare che già negli anni ’50 è pensato secondo la disposizione che poi sarà approvata dal Concilio. Sono gli anni ricordati con nostalgia dagli ex-oratoriani che ogni due anni si radunano ancora a S. Agnese dai vari posti dove sono andati ad abitare.

A un certo punto il sogno scoppia un po’ in mano ai preti: problemi economici insormontabili, l’impossibilità di seguire sia la parrocchia che la scuola, il confronto con l’effettiva rispondenza della gente, portano l’Opera sull’orlo del fallimento. Per cui l’arcivescovo Colombo decide di affidarla ai Padri Pavoniani di Brescia, che hanno propriamente il carisma dell’emancipazione dei giovani delle classi meno agiate. E chiede loro di occuparsi anche della parrocchia.

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È il 1971. Cominciano gli anni più duri, a livello sociale, per tutta la zona di Quarto Oggiaro. E la vita della parrocchia, immersa nel quartiere, ne risente. I preti si susseguono ad accompagnare la preghiera e la liturgia. In un appartamento vengono ad abitare anche le Piccole Apostole di Gesù (le sorelle) per portare la loro testimonianza cristiana tra la gente. Le attività caritative e dell’oratorio proseguono con anche bei risultati. Il coro parrocchiale è ancora ben nutrito e fa la sua figura. Le pareti interne della chiesa vengono affrescate dal pittore Bogani per illustrare il mistero del popolo di Dio, corpo reale di Cristo che nella chiesa è radunato per l’Eucaristia. I ragazzi del quartiere hanno la possibilità dell’esperienza scout con il riparto Breithorn (Milano 8°).

Ma dalle cronache dei parroci, dai verbali del Consiglio Pastorale, dalle lettere indirizzate ai fedeli ormai è quasi sparita la dimensione del sogno, prevale la descrizione dei problemi e l’impressione che si può solo farvi fronte senza possibilità di risolverli. Un orizzonte che chiede più di resistere con tenacia che di sperare.

 

L’esperienza dei Padri Pavoniani a S. Agnese dura fino al nuovo millennio. Ma la scuola professionale, dopo vari tentativi di riqualificazione, chiude e viene risistemata per far posto a un Istituto Geriatrico (il fatto che a una scuola venga sostituita una casa di riposo è un segno evidente di come la nostra società sia cambiata negli ultimi 30 anni, più o meno come i centri commerciali che prendono il posto dei cinema e dei centri sociali). A questo punto i Padri Pavoniani sanno che possono rimanere a S. Agnese finché le forze lo permettono (il numero dei preti cala vistosamente), ma poi dovranno cercare di concentrarsi su ambiti più confacenti al loro carisma. Nel 2003 i Padri Pavoniani lasciano la parrocchia all’Arcivescovo, che vi manda preti diocesani. I primi due sacerdoti sono don Adriano e don Stefano.

In seguito rimane solo don Stefano che per quindici anni ha guidato la nostra Parrocchia fino al settembre 2018.

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In questi 15 anni la nostra Parrocchia si è trasformata radicalmente e sono emerse nuove sfide che continuano a porre domande.

Ad esempio, molte famiglie sono arrivate da tutte le parte del mondo: Rumeni, Polacchi, Moldavi, Egiziani, Tunisini, Filippini, Srilankesi, Sudamericani …

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Come diventare sempre di più “chiesa dalle genti?

E’ evidente, ad esempio, che la pratica religiosa si è ridotta sempre più e, ormai, solo un piccolo gruppo di circa trecento persone si ritrova per la celebrazione eucaristica domenicale.

Come sarà la nostra parrocchia tra qualche anno e come testimoniare oggi il Vangelo alle nuove generazioni?

Con la presenza di don Stefano si è posta molto l’attenzione sugli ultimi e in particolare sull’accoglienza.

A tale scopo nell’ottobre del 2015 sono iniziati i lavori di ristrutturazione del primo piano della casa parrocchiale, oramai in condizioni di grave degrado, lavori che si sono conclusi nel mese di marzo 2016.

Abbiamo quindi preso accordi con la Onlus Arca per ospitare in questo primo piano alcuni papà separati e, dopo circa quattro anni, l’esperienza con Arca si concluderà il prossimo 31 dicembre 2019 per esigenze pastorali.

Come continuare a vivere una reale condivisione con i poveri che abitano la nostra città es essere una chiesa povera?

Oltre a questi capitoli fondamentali della pastorale, c’è sempre il tema delle strutture da tenere in piedi.

Nel 2016 a causa di uno sfondellamento del soffitto della Chiesa e nel 2019 per un ammaloramento delle travi e dei pilastri esterni, sono stati eseguiti dei lavori straordinari di ristrutturazione radicale per il mantenimento delle strutture.

Quale uso fare delle grandi strutture che abbiamo e come mantenerle nei prossimi anni?

A settembre 2018 don Stefano ci ha lasciato per un nuovo incarico, ed è arrivato un Vicario della Congregazione degli Oblati di Sant’Ambrogio, don Daniele Bai, che ha retto la nostra Parrocchia fino a settembre del 2019.

Il senso di quest’ ultima nomina è evidente.

Si sta aprendo una nuova fase che ci porterà a una pastorale d’insieme con le altre parrocchie del quartiere, verso la comunità pastorale

Come sarà la parrocchia del futuro e quali presenza di chiesa ci saranno in questo quartiere?

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